Un assistente che non guarda, un palo o una traversa che si mettono di mezzo: anche il gioco del calcio spesso subisce influenze negative venate di mistero. E insieme ai giocatori anche la superstizione scende in campo durante le partite di calcio. Corna, cornetti, amuleti scaccia jella, manciate di sale gettate dietro la porta, madonnine d’oro e ferri di cavallo, riti propiziatori: così calciatori, presidenti e allenatori ricorrono spesso all’arcano, per proteggersi dallo stesso. Sul terreno di gioco, sulle tribune, negli spogliatoi. Perfino tra i tifosi, che siedono sempre allo stesso posto sulle gradinate o a casa mentre guardano la diretta televisiva. Comunque sia, in molti hanno un amuleto o un rito per proteggersi contro le energie negative. Non siamo al festival anti-jella ma a volte la cruda realtà porta a questi gesti “inconsueti” che mistificano i 90 minuti di gioco. O credevate forse che le partite si vincano solo comprando fior di calciatori? Di ciò spesso nessuno ne parla, ma basta osservare attentamente l’atteggiamento di qualche addetto ai lavori, per rendersi conto che gesti ripetuti all’infinito altro non sono che pure superstizione. C’è poi chi si raccomanda al proprio Dio, facendosi il segno della croce prima dell’entrata in campo o dopo ogni gol segnato, ma è solo uno degli esempi di carattere religioso legati alla scaramanzia. Celeberrime restano le immagini trasmesse in mondovisione, che ci mostravano un Trap devoto con la bottiglia di acqua benedetta da versare sul terreno di gioco. Sappiamo tutti come andò a finire quel mondiale per l’Italia, sconfitta ed eliminata dall’anonima Corea, ma contro il celeberrimo Moreno ( trovato proprio oggi in aereoporto a New York in possesso di 6 chilogrammi di eroina) non c’era acqua che potesse salvarci. Ancelotti invece preferisce un rosario da tenere tra le mani nel corso della partita e, a giudicare dai successi ottenuti dalle sue squadre, sembra proprio che funzioni. Ma anche simboli e riti un po’ più profani, a partire dal cappotto portafortuna di Renzo Ulivieri, indossato in ogni occasione, anche a dispetto di temperature torride. E che dire della cerata gialla di Aldo Spinelli che, a suo dire, tanta fortuna porterebbe al suo amato Livorno? E poi i calzini rossi del compianto presidente dell’Ascoli Costantino Rozzi, le cravatte gialle di Galliani e le mutande indossate al contrario da Mutu o quelle rosse che Barthez portava sotto i calzoncini. Ne sa qualcosa Gigi Riva, che giocava sempre con la maglia numero 11: l’unica volta che accettò di indossare la 9 si ruppe una gamba. E provate a raccontargli che si trattava solo di una stupida fatalità. Ma quanto accade nel mondo dilettantistico ha davvero dell’inverosimile: Presidenti che attaccano nello spogliatoio arbitrale le corna del bue, allenatori che chiedono ai propri calciatori di non indossare abbigliamento di un particolare colore, oppure di non accavallare le gambe mentre si discute nel chiuso dello spogliatoio. Ma non manca chi fa mettere un piccolo amuleto all’interno del borsone porta indumenti, oppure chi preferisce vestirsi sempre di nero per sfatare il tabù del malocchio. Nessuno li vede e pochi se ne accorgono. Si scopre la pura verità solo quando qualche calciatore si domanda se il mister di turno vive di mente sana oppure ha qualche problema di instabilità.
Amuleti o stregoni, immagini sacre o abbigliamento portafortuna, quel che è certo è che la scaramanzia appartiene al mondo del calcio. Per la serie: non è vero, ma ci credo! Del resto non conta nulla.