
Torniamo a parlare dell'accordo economico sottoscritto dai calciatori dilettanti tesserati con società calcistiche militanti nei campionati non nazionali attraverso le ultime decisioni deliberate dalla Commissione Disciplinare Territoriale presso il Comitato Regionale Lazio in prima istanza e, poi, dalla Commissione Disciplinare Nazionale della F.I.G.C. in appello. Infatti, lo scrivente, in qualità di calciatore, nella stagione sportiva 2008/2009 aveva sottoscritto un accordo economico per rimborsi spesa con una società calcistica militante nel campionato di la categoria laziale. Ma, come spesso avviene in questi campionati, la medesima società non aveva provveduto a corrispondere al calciatore le ultime 4 mensilità. In ragione di questo, si è deciso di adire la giustizia ordinaria con ricorso per decreto ingiuntivo all'ufficio del Giudice di Pace di Latina il quale ha emesso provvedimento di ingiunzione a favore del calciatore, notificato con atto di precetto alla società stessa. Successivamente, in assenza di riscontro da parte del sodalizio calcistico, si è proceduto al pignoramento dei conti del club presso il Comitato regionale Lazio. Da questa fase è nato il deferimento del calciatore da parte del Presidente del Comitato Regionale richiamato alla Procura Federale presso la F.I.G.C. per violazione della clausola compromissoria (Art. 30 commi I e 4 Statuto Federale), procedimento conclusosi con proscioglimento (Com. Uff. n. 104 del 4 marzo 2010) motivando che: "...l'azione civile promossa dal calciatore era volta a tutelare esclusivamente un rapporto contrattuale intercorso con la società di appartenenza del tutto irregolare e non conforme alla tipologia consentita nel settore non professionista. Come tale non poteva essere tutelato in alcun modo dall'ordinamento federale e l'azione civile era consentita, a mente del richiamato articolo 94 delle NOIF, senza la previa autorizzazione federale...". Inoltre, il medesimo organo giudicante dichiarava che: "...doveva rilevarsi come il calciatore e la società si erano resi colpevoli della stipula di un accordo economico irregolare ma, allo stato, la Commissione non poteva procedere ex officio a modificare l'incolpazione trattandosi di fatto diverso, per quanto attiene il calciatore, e non può procedere nei confronti della società, senza l'impulso dell'Organo requirente...". Quindi, sulla scorta di questo reinviava gli atti alla Procura Federale per nuovo deferimento contestualmente indicando le norme che erano state violate ed anticipando un giudizio non competente in quello stato del procedimento. La medesima Procura Federale deferiva nuovamente il calciatore per violazione degli artt. 94 e 29 comma 2 e 3 NOIF (Norme Organizzative Interne della F.I.G.C.) e dell'art. 39 comma 2 del Regolamento della L.N.D., norme che prevedono la sanzione per i calciatori e le società dilettantistiche che stipulano accordi economici al fine di locupletare la prestazione sportiva del calciatore attraverso la determinazione di un rapporto di dipendenza intercorso tra il calciatore e la società con il rimborso mensile stabilito ed agganciato al mero rapporto di tesseramento. Tale circostanza, secondo la Commissione di 1° grado (Comunicato Ufficiale n. 147 del 27.05.2010), doveva essere evitata in quanto: "...è la stessa normativa federale che considera nulli tali accordi andando cosi ad impedire che, in alcun modo, possa definirsi la prestazione del calciatore non professionista, tesserato per società che partecipino ai campionati in ambito regionale o locale, come rapporto di dipendenza subordinata, para subordinata o libero professionale...". Con tale decisione l'organo condannava il medesimo calciatore con la sanzione di un anno di squalifica. Ai sensi dell'art. 36 Codice di Giustizia Sportiva avverso il Comunicato emesso dalla Commissione Disciplinare Territoriale presso il Comitato Regionale Lazio era proposto ricorso alla Commissione Disciplinare Nazionale presso la F.I.G.C. sulla base di due motivi principali, ovvero che l'organo giudicante di 1° grado doveva astenersi dal sentenziare in merito al secondo procedimento in quanto aveva già espresso il proprio giudizio nel primo (venendosi cosi a determinare la fattispecie della ricusazione ed astensione della Commissione medesima) nonché, soprattutto, della legittimità dell'accordo economico come sottoscritto tra le parti. Il primo motivo di appello si fondava sulla considerazione che gli organi giudicanti devono assolutamente compendiarsi nella sostanziale garanzia di terzietà ed imparzialità e, soprattutto, che il Giudice non debba partire "prevenuto" sulle parti medesime e sull'intera scena procedimen-tale, dove per "prevenuto" si intende che non debba già aver analizzato gli atti del procedimento e, soprattutto, non abbia già giudicato o espresso il proprio convincimento sui soggetti passivi del deferimento per violazioni connesse e/o collegate. Nel caso in esame, la richiesta di deferimento era avvenuta direttamente dalla Commissione Disciplinare Territoriale giudicante nel primo deferimento, la quale aveva rimesso gli atti alla Procura indicando la violazione espletata dal calciatore ed andando, in questo modo, a violare ogni principio di terzietà'ed imparzialità del giudice cosi come indicato dalle norme sportive, civili e penali. Infatti, la Commissione giudicante aveva la medesima composizione sia nel primo che nel secondo procedimento disciplinare e, da tale circostanza, si evidenzia la violazione delle norme che regolano il giusto processo, andando tale provvedimento a porsi come anticipazione di un momento anteriore al giudizio, al convincimento sullo stato dei fatti e sulla decisione finale. Fermo restando che l'impulso della Commissione non è stato solo quello di trasmettere gli atti alla Procura Federale affinché valutasse la possibilità di deferire le parti per la stipula di un contratto irregolare, bensì di esprimere il futuro giudizio sul calciatore. Il secondo motivo, invece, si fondava sulla regolarità dell'accordo economico in favore di un calciatore, quale contributo per il rimborso spese effettuate in relazione all'attività sportiva prestata in favore della società di appartenenza. Si è sottolineato che dall'analisi di tale quadro normativo federale emerge come gli "accordi di carattere economico" sono quelli che prevedono in favore di un calciatore un "corrispettivo" in danaro per l'attività sportiva svolta basata essenzialmente sugli allenamenti giornalieri effettuati e sulle partite amichevoli o di campionato svolte. La Commissione Disciplinare Nazionale con comunicato ufficiale n. 6 del 22.07.2010 si è espressa in merito al primo motivo di appello indicando l'iter adeguato da seguire in casi simili. Invero, richiama l'art. 28 comma 4 del Codice di Giustizia Sportiva il quale dispone che "...ai componenti degli Organi della Giustizia sportiva si applicano le norme in materia di astensione e di ricusazione previste dal Codice di procedura civile...". E, pertanto, in casi come quello di specie, può e deve prendersi in soccorso l'art. 51 c.p.c, in tema di astensione del giudice, e l'art. 52 c.p.c, in tema di ricusazione, ove si ritenga, la illegittimità della costituzione dell'organo giudicante. La Commissione giudicante continua affermando che i deferiti, proprio a mente degli articoli appena richiamati, avrebbero potuto e dovuto dolersi della presunta mancanza di imparzialità e terzietà dell'organo giudicante nell'udienza in cui il deferimento in parola è stato trattato, discusso e giudicato. Invero, però, si riconosce che il calciatore appellante era all'oscuro della reale composizione del Collegio Giudicante ma, come tale, in udienza, forti dell'art. 52, comma 2°, c.p.c, doveva e poteva eccepire il vizio di costituzione del Collegio non appena verificata la reale composizione della Commissione giudicante stessa e, quindi, prima dell'inizio della trattazione e discussione del procedimento. Al contrario, l'art. 52 comma 2 c.p.c. prevede a carico delle parti che intendano proporre la ricusazione del giudice, di depositare il relativo ricorso "... due giorni prima dell'udienza, solo se al ricusante è noto il nome dei giudici che sono chiamati a trattare o decidere la causa..." cosa assolutamente non possibile per quanto riguarda la Giustizia Sportiva in quanto non viene comunicato i membri della Commissione che tratteranno la causa. Quanto al secondo motivo di appello ed alla richiesta di proscioglimento dei deferiti sulla scorta della non irregolarità dell'accordo economico sottoscritto dalle parti, la CDN ha ritenuto di dover confermare la non conformità al modello federale dell'accordo. Infatti, ha motivato affermando che: "...è vero, infatti, che gli accordi economici aventi ad oggetto rimborsi spese rientranti nei confini determinati dalla relativa normativa fiscale, sono da considerare perfettamente leciti; il punto resta, però, se ed in che misura l'accordo sottoscritto sia da considerare quale rimborso delle sole spese affrontate dal calciatore e non nasconda invece un'illegittima locupletazione economica legata alla prestazione svolta dal medesimo...". Nella fattispecie in oggetto la Commissione prende esclusivamente in considerazione il tenore letterale dell'atto dal quale, invero, si può interpretare che l'accordo era diretto a garantire quella locupletazione economica che le norme federali, per costante interpretazione, vogliono impedire. In ragione, quindi, dell'interpretazione appena richiamata da parte della Commissione Disciplinare Nazionale si può ritenere a ragion di logica che gli accordi economici sottoscritto con valore al di sotto della soglia prevista (7.500 euro) siano considerati leciti. Quello che, però, va valutato attentamente è il senso letterale della terminologia che è usata in tali documenti. Quindi, stando attenti a quanto appena riportato, gli accordi economici tra calciatori e società calcistiche militanti nei campionati dilettanti non nazionali non possono prevedere voci quali: stipendio, compenso, premi e via dicendo. Bensì, bisogna considerare la somma prevista all'interno dell'accordo economico quale contributo per le spese sofferte dal calciatore per la pratica sportiva con la medesima società, nonché che il contributo in oggetto esclude il pagamento di premi o compensi per l'attività calcistica espletata bensì rappresenta solo ed esclusivamente un rimborso effettivo delle spese sofferte da] calciatore medesimo cosi come rientrante nei limiti previsti dalla normativa fiscale in materia. All'interno del medesimo accordo economico può essere prevista, inoltre, la possibilità per il calciatore che, in caso di mancato versamento da parte della società sportiva del contributo per il rimborso delle spese come previsto, il medesimo sarà legittimato ad adire la giustizia sportiva e/o ordinaria secondo le procedure previste. Sulla base delle decisioni appena richiamate si consiglia a tutti i calciatori di farsi riconoscere tale diritto da parte delle società ma è evidente che, ancora oggi, nel mondo dilettantistico (campionati non nazionali) non si è pronti ad affrontare un discorso di questo genere soprattutto da parte delle società.
di Matteo Sperduti